mercoledì 17 giugno 2015

Il prof di religione

Stamattina ero a fare sorveglianza alla prova di italiano degli Esami di Stato. Ho letto le tracce. Belle. Davvero. Con qualche rischio di scivolare nella retorica, ma belle.
Ero con i ragazzi e le ragazze della "mia" 5G, e li ho osservati sospirare, concentrarsi, scrivere, sorridere, concentrarsi, scrivere, sgranocchiare qualcosa, sospirare, concentrarsi e scrivere.
E mentre li guardavo pensavo. Pensavo a quanto sia delicato il ruolo dell'insegnante. Pensavo che più tardi sarò qui a recuperare due scrutini che sono saltati per uno sciopero che non condivido, ma tant'è, siamo in democrazia.
Pensavo che questi ragazzi ci sono stati affidati. E che è tanto difficile definire bene che cosa deve fare un buon insegnante. D'Avenia ci sta provando da mesi, sta sollevando discussioni, polemiche, sta entrando nel merito, spesso sono d'accordo con lui, altre volte meno, ma gli va riconosciuto il fatto di aver "smosso" qualcosa.
Io non voglio entrare nel merito, non voglio analizzare, non voglio fare niente di tutto questo, anche perché la mia è una materia talmente atipica (religione, per chi non lo sapesse) da sfuggire ad ogni schematizzazione.
Vorrei solo essere stato "utile" ai ragazzi che mi sono stati affidati in questi anni, e continuare ad esserlo per quelli che verranno. Non voglio che mi ricordino per la simpatia, né per le cose che ho detto (perché suvvia, non dico poi cose così importanti). A dirla tutta non credo nemmeno di voler essere ricordato (o meglio, la mia parte autocompiacente lo vuole, ma non è quello che conta).
Vorrei lasciare una testimonianza, un piccolo seme di bene, un qualcosa che aiuti queste ragazze e questi ragazzi ad essere donne e uomini migliori. Donne e uomini che capiscano l'importanza dello studio e dell'impegno, dotati di cultura e di spirito critico (e magari anche della capacità di ridere dei loro difetti). Donne e uomini consapevoli delle loro forze e dei loro limiti, donne e uomini che non tacciono davanti alle ingiustizie, che lottano a favore dei poveri e degli emarginati, che si mettano in ascolto dei bisogni e delle necessità degli altri, che lascino la porta aperta alla possibilità che quel Dio di cui ogni tanto parlo loro esista davvero.
Ribadisco: un qualcosa che li aiuti ad essere tutto questo, anche in minima parte. Perché poi se ci riusciranno, se davvero diventeranno così, il merito sarà tutto loro, e il mio sarà stato un contributo minuscolo, quasi infinitesimale. Però ecco, mi piacerebbe averlo donato loro, questo contributo infinitesimale, e continuare a donarlo, magari in modo sempre migliore, agli studenti a cui sarò chiamato ad insegnare.

Questo vorrei, questo è il modo migliore di fare il mio lavoro. E per questo lo amo.

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